
In Italia quando vogliamo riferirci alla quantità di alcool presente in una bevanda siamo soliti adoperare l’improprio termine “gradi”: “buono questo bianco, ma un po’ forte, ha 13 gradi e mezzo!” In realtà l’etichetta sulla bottiglia, nel caso in questione, presenterebbe la dicitura 13.5% vol. che, come è facile capire, indica la percentuale di alcool rispetto al totale del volume di liquido contenuto nel recipiente. Per fare un altro esempio, quando acquistate un distillato da 40% vol. (i cosiddetti 40 gradi), sappiate che ciò significa che poco meno di metà di quella bottiglia è alcool puro. Questo sistema, oltre che in Italia, è adottato anche in Europa.
A livello internazionale il solito criterio della percentuale sul volume (non sul peso, fate attenzione) viene indicato dalla sigla ABV, ovvero Alcohol by Volume; quindi in etichetta, per capirci, 25% vol. o 25% ABV sono perfettamente equivalenti. Se proprio vogliamo essere oziosamente precisi, possiamo anche aggiungere che poiché la temperatura influenza il volume, tali misurazioni vengono effettuate alla temperatura standard di 20 gradi (stavolta sì, gradi) centigradi; ma a noi consumatori questo interessa relativamente. Nel mondo anglosassone, che quanto a unità di misura regala sempre assurde sorprese – a volte legate a storie divertenti, come vedremo tra poco – può capitare di imbattersi nella sigla ABW, cioè Alcohol By Weight che quantifica l’alcool in rapporto al peso totale; naturalmente l’alcool ha un peso specifico inferiore all’acqua e quindi il criterio ABW è difforme da quello ABV. Così, per il gusto di complicare le cose! Per fortuna comunque il buon senso fa sì che quest’ultimo criterio sia pochissimo usato.
Un’altra peculiarità anglo-americana, come dicevamo, ci complica la vita ma in compenso ci regala una storia secondo noi meravigliosa: si tratta dell’indicazione Proof, la Prova, che deriva direttamente dalla Royal Navy Britannica del XVIII secolo. Non ci sono certezze sulla sua origine, bensì varie versioni che probabilmente contengono tutte un po’ di verità. Vediamo di che si tratta.

La marina britannica, mercantile o militare, ha sempre imbarcato grandi quantità di alcolici per le sue spedizioni: birra e brandy più anticamente, rum e gin (decisamente più economici e facilmente reperibili) a partire rispettivamente da 1700 e 1800. Il motivo era quello di poter “purificare” e rendere più gradevole l’acqua che diveniva stagnante molto rapidamente; e anche di migliorare l’umore di marinai e ufficiali, naturalmente. Dalla razione quotidiana di distillato assegnata alla ciurma (razione abolita nel 1970) nacquero anche il grog e il punch, come diremo in un prossimo articolo, in funzione antiscorbutica.
Ma per tornare alla “proof”, sembra che i marinai avessero preso l’abitudine di verificare che la dose loro elargita non fosse stata annacquata per risparmiare sulle spese di viaggio: facevano ciò bagnando della polvere da sparo con il rum o il gin e provando a farla bruciare. Se la polvere bruciava, la prova (proof) era superata e la bevanda aveva la Navy Strenght, la forza della Marina (dicitura che trovate ancora oggi su molti gin, come il Plymouth); in caso contrario si deduceva che l’alcool era stato diluito e beh, molto probabilmente si sarebbe cominciata a sentire aria di ammutinamento! Altre fonti fanno risalire questa prova non ai singoli marinai ma agli armatori al momento di stivare i barili, per verificare di non essere stati truffati dai commercianti di liquori. Un’altra ipotesi è che la prova si rendesse necessaria perché nella stiva i barili di polvere da sparo e di distillato si sarebbero trovati vicini e un’accidentale fuoriuscita di liquido troppo poco alcolico avrebbe rischiato di compromettere l’efficacia della polvere e quindi dell’artiglieria della nave (come si vede nell’illustrazione). La quantità di alcool rispetto al volume di un distillato che consente alla polvere da sparo di bruciare se bagnata con esso è del 57%. Quindi se in etichetta trovate la scritta Navy Strenght, la bevanda ha almeno il 57% vol.
Ma non è finita qui, perché questo riferimento è stato usato per creare una sorta di scala di gradazione alcolica nel mondo anglosassone, come dicevamo; nel Regno Unito l’indicazione 100 proof corrispondeva a 57% ABV (la formula è proof UK / 1.75; ad es. 70 proof significa 40% ABV). Tale sistema però in Gran Bretagna è stato abbandonato a partire dal 1980. Dove invece l’uso della “prova” è ancora vitale è negli Stati Uniti, ma ovviamente con alcune piccole differenze (in qualche modo i figli di Washington dovevano pur distinguersi dalla madrepatria!): negli USA 100 proof sono il 50% ABV, il che non ha alcun senso storico ma facilita decisamente i calcoli; basta infatti adottare la formula proof USA / 2 per orientarsi velocemente con le etichette (ad es. 80 proof USA stanno a significare il 40% ABV; e un Navy Strenght con il 57% ABV sarà descritto come 114 proof USA).
Per riassumere, quindi, ribadiamo che le indicazioni % vol. e % ABV sono perfettamente sovrapponibili, che i proof americani corrispondono al doppio dei due sistemi precedenti, che i proof inglesi sono più complicati ma ormai desueti (e comunque 100 e 70 proof UK indicano rispettivamente il 57 e il 40% vol.) e infine che la dicitura Navy Strenght individua distillati che abbiano almeno il 57% ABV.
Ai fini della miscelazione è chiaro che distilllati dalla gradazione alcolica molto più elevata del consueto possono richiedere accorgimenti e variazioni nel dosaggio, ma generalmente con un po’ di tentativi possiamo trovare le proporzioni che ci aggradano di più.
E quindi… fuoco alle polveri!